Scuola pubblica addio: la storia si ripete 60 anni dopo”Tullio De Mauro Un
governo che come quello italiano
attuale con la sua legge finanziaria
riduce pesantemente il numero degli
insegnanti e la possibilità del loro
normale ricambio nelle scuole e
nelle università pubbliche e taglia
e si propone di tagliare ancor più
di anno in anno e per anni i fondi
già miseri assegnati; una
maggioranza che prepara un
emendamento per stabilire che il
taglieggiamento non colpirà le
scuole private; un governo che,
mentre scrivo (10 novembre 2008) si
sbraccia e sgola per assicurare che
no, tranquilli, taglierà i fondi
alla scuola pubblica, ma mai alla
privata; e gli emendatori di
maggioranza che prontamente
dichiarano di essere «soddisfatti
per le assicurazioni date oggi dal
governo per il reintegro dei fondi
da destinare alle scuole non
statali»: tutti danno un assai poco
gradevole sapore di attualità alle
parole di Calamandrei. I «cuochi di
questa bassa cucina» dopo sessant’anni
sono alacremente al lavoro per
cucinare la loro ricetta.
Dunque c’è della attualità immediata
in questi scritti solo nel tempo
remoti. E c’è anche là dove
Calamandrei sorprendeva la sua
platea e sorprenderà più d’uno
ancora oggi prendendo la distanze da
un laicismo che della politica
scolastica vede un solo aspetto, la
lotta contro le intrusioni clericali
e nel 1950 al congresso
dell’Associazione per la difesa
della scuola nazionale diceva: «Può
venire subito in mente che noi siamo
riuniti per difendere la scuola
laica. Ed è anche un po’ vero ed è
stato detto stamane. Ma non è tutto
qui, c’è qualcosa di più alto (…).
Difendiamo la scuola democratica: la
scuola che corrisponde a quella
Costituzione democratica che ci
siamo voluti dare; la scuola che è
in funzione di questo Costituzione,
che può essere strumento, perché
questa Costituzione scritta sui
fogli diventi realtà».
C’è «qualcosa di più alto» e il «più
alto» è percepire e rimuovere le
condizioni di incultura che minano
profondamente il passaggio da una
democrazia puramente formale a una
democrazia sostanziale. Con mezzo
secolo d’anticipo Calamandrei
precorre le analisi critiche della
democrazia intesa come puro
meccanismo elettorale periodico
gestito dalle dirigenze di partito e
avvio una risposta che trascende
tali critiche (e trascende anche il
laicismo di chi a volte pare che se
ne starebbe contento in un paese di
analfabeti purché usciti da una
scuola non confessionale). Così
diceva e così parla anche a noi: «Il
sistema elettorale non è che uno
strumento giuridico, cioè formale;
perché la democrazia si attui è
necessario che tutti i componenti
del popolo siano messi in condizione
di sapersi servire di fatto dello
strumento elettorale, per i fini
sostanziali ai quali è preordinato.
I fini di un governo democratico,
nel quale la nomina dei governanti è
giuridicamente rimessa alla scelta
dei governati, saranno tanto meglio
raggiunti quanto meglio da questa
sua scelta usciranno eletti i più
degni: cioè i più capaci,
intellettualmente moralmente e
tecnicamente, ad assumere nel popolo
funzioni di governo. Ma
per ottener ciò occorre non soltanto
che gli elettori abbiano di fatto
capacità di scegliere, cioè di
valutare comparativamente i meriti e
le attitudini di coloro che stanno
per esser chiamati a coprire i
pubblici uffici, in modo da saper
distinguere i più degni; ma occorre
altresì che i più degni si trovino
di fatto in condizione di essere
scelti, cioè che veramente tutti i
cittadini siano in condizione di
rivelare e sviluppare le loro
qualità sociali, in modo che la
scelta, compiuta nell’ambito del
popolo intero, possa rappresentare
veramente la scoperta e la messa in
valore degli elementi più idonei
della società. Il problema della
democrazia si pone dunque, prima di
tutto, come un problema di
istruzione.
Per far sì che gli elettori abbiano
la capacità di compiere una scelta
consapevole dei rappresentanti più
degni, è indispensabile che tutti
abbiano quel minimo di istruzione
elementare che valga ad orientarli
nelle varie correnti politiche a
guidarli nel discernimento dei
meriti e delle competenze dei
candidati; ma sopra tutto è
indispensabile che a tutti i
cittadini siano ugualmente
accessibili le vie della cultura
media e superiore, per far sì che i
governanti siano veramente
l’espressione più eletta di tutte le
forze sociali, chiamate a raccolta
da tutti i ceti e messe a concorso
per arricchire e rinnovare senza
posa il gruppo dirigente.
«Vera democrazia non si ha là dove,
pur essendo diritto tutti i
cittadini ugualmente elettori ed
eleggibili, di fatto solo alcune
categorie di essi dispongano
dell’istruzione sufficiente per
essere elementi consapevoli ed
attivi nella lotta politica. La
democrazia non è, come i suoi
critici hanno cercato di
raffigurarla deformandola, la
tirannia della quantità sulla
qualità, del numero cieco
sull’intelligenza individuale, della
massa analfabeta sui pochi
competenti colti; ma deve, per dare
i suoi frutti, essere consapevole
scelta dei valori individuali
operata non in una ristretta cerchia
di privilegiati della cultura, ma
nell’ambito di tutto un popolo reso
capace dell’istruzione di giudicare
i più degni».
Come in filigrana, in queste pagine
che “Il Ponte” pubblicò nel 1946,
intravediamo le linee di azioni
volte a garantire e potenziare una
scuola per la democrazia: la
battaglia per ottenere che uno, due
anni dopo la Costituzione sancisse
gli “almeno otto anni” di istruzione
“obbligatoria e gratuita” come
diritto e dovere di ogni cittadino
(art. 34, c. 2); la lunga e non
facile lotta per ottenere dalla metà
degli anni cinquanta al 1962 che
l’articolo della Costituzione
diventasse realtà con la
realizzazione della scuola media
unica.
Ma, diversamente da quanti facevano
resistenza all’idea del più largo
sviluppo dell’istruzione post
elementare, Calamandrei non si
proponeva solo il traguardo della
media unificata. La sua analisi
precorre quelle che veniamo facendo
dagli anni novanta e che tuttora
stentano a tradursi in fatti e pare
utopia e ha avversari in tutto lo
schieramento politico la proposta di
portare l’istruzione scolastica per
tutte e tutti fino alle soglie
dell’università, come avviene del
resto nei paesi progrediti,
un’istruzione scolastica “elastica”
che si offra con un ricco ventaglio
di scelte in un percorso
essenzialmente unitario:
«Bisognerebbe studiare il modo di
far sì che la scelta della
professione fosse differita a un’età
il più possibile prossima a quella
della piena maturità intellettuale,
o che in ogni caso potesse esser
soggetta a revisione fino alla
soglia dell’Università, agevolando
allo studente fino agli ultimi anni
degli studi medi il passaggio da un
tipo all’altro di scuola.
Questo è uno dei grandi pregi del
sistema scolastico vigente negli
Stati Uniti, dove fino
all’Università la distinzione tra i
vari ordini di studi rimane
estremamente elastica e permeabile
alle più svariate esperienze e ai
più ritardati pentimenti; e in ciò è
forse una delle ragioni per le quali
in America, nonostante il sistema
capitalista, il ricambio sociale è
tanto più attivo e rapido che da
noi. Questo infatti, attraverso il
continuo affluire di nuove forze
sociali rivelate e educate dalla
scuola, è il segreto della
continuità e della vitalità dei veri
sistemi democratici: la classe
dirigente in continuo ricambio,
aperta all’ininterrotto emergere dei
migliori». A
una tal considerazione Calamandrei
giungeva per forza di riflessione,
certamente. Ma queste riflessioni,
che suonano ovvie non solo negli
Stati Uniti ma in gran parte del
restante mondo civile, in Italia
erano di pochi (e di pochi restano).
Non è illegittimo chiedersi se nello
svolgerle Calamandrei avesse tratto
ispirazioni da altri. Un libro che
ebbe grande fortuna prima e dopo la
Prima guerra mondiale e di cui
Calamandrei, come ricorda
opportunamente Silvia Calamandrei,
conosceva assai bene l’autore, le
Lezioni di didattica di Giuseppe
Lombardo Radice, contiene a riguardo
pagine significative.
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