divagazioni - riflessioni - considerazioni  

elogio del fallimento

 di Jack Folla

Sono caduto tante volte e tante volte mi sono rialzato. Ogni volta mi sembra più dura e ho la sensazione che il dolore, con le sue possenti mareggiate, abbia invaso nuovi spazi intimi, sabbie ancora indenni, fino a violare ogni più elementare certezza precedente, ogni piccola baia felice.
Il puro dolore non ha scialuppe di salvataggio, né pudore, ricorda solo se stesso, è senza tregua e senza pietà. Poi passa. Si ritira come l’alta marea, lasciando ossi di seppia, detriti, vuote bottiglie di vino, lacrime incapsulate nell’ambra, conchiglie scolorite, esperienze in cocci. È il museo del dolore. Privato e pubblico, ma sempre mitico, come la Biblioteca di Alessandria.
Si è tentati di fuggire da questa terra desolata, di tuffarsi nel flusso felice al primo chiarore, nella bonaccia. Non è prudente né saggio. Bisogna restare da soli un altro poco, catalogare i reperti da bravi archeologi di se stessi, perché ogni lacrima ha un senso, ogni fallimento lascia una traccia indelebile, e le sconfitte devono essere archiviate con diligenza, mentre le vittorie lo fanno da sole. Le vittorie sono frivole. Vincere è facile.
Fallire in assoluto è difficile. Io ci sono riuscito benissimo, anche parecchie volte di seguito. Il fallimento è come la musica, bisogna esserci portati, avere orecchio, saperlo ascoltare. Il dolore ha un ritmo mentre la felicità è sorda. La sua è una marcetta trionfale, starle dietro non richiede alcuno sforzo, perché il successo trascina, il fallimento emargina e ci lascia da soli. Mentre cadiamo sentiamo risate e motteggi sinistri, poi il rullo delle ruote dei carri dei vincitori, infine più nulla. Allora il dolore viene. Dapprima è un sussurro di malinconia, uno stridìo come i primi accordi di un’orchestra, poi una sinfonia d’archi e tamburi, di vuoti e pieni, elaborata, sapiente, incredibile, perché il dolore è sempre sorprendente: il dolore è un genio.
-Stai dicendo che dovremmo cercare il dolore?- domandò il tale. Non ce n’è bisogno, il dolore è abilissimo a cercarci da solo, e ci trova sempre, nei momenti più inopportuni e quando siamo impreparati a riceverlo. Il dolore fa come le tempeste che offendono i metereologi che non le hanno previste. Il dolore è maleducato. Ma noi dobbiamo essere così cortesi da riceverlo.
-Io mi barrico in casa!- disse l’altro. Inutile. Il dolore sfascia le porte. Tanto vale preservare la facciata e comportarsi da signori. Altrettanto inutile farlo accomodare e offrirgli un bicchierino. Si prenderebbe tutta la cantina. Il dolore fa come gli pare.
-E allora?- Allora niente, sto semplicemente tessendo un elogio del fallimento, (un po’ costretto, ne convengo) ma se non parlassi di quel che ho imparato, che scriverei a fare? Davvero non c’è fallimento dal quale non si possa trarre una lezione, mentre la felicità non ci insegna mai niente che già non sapessimo, tanto per cominciare che è facilissimo perderla, altrimenti come potremmo essere felici un solo istante? La felicità, l’ho già detto, è sorda. Il dolore risuona nella Storia.
Di conseguenza dico grazie al mio fallimento di uomo e di artista. Non avrei mai saputo augurarmi di meglio. Il dolore ne sa una più del diavolo, mi sono laureato alla sua scuola. Attualmente sto seguendo un master di specializzazione. A breve sarò un professionista del fallimento. Potrò finalmente elargire felicità. Da questi miei rami secchi nascerà un fiore.
Mia isola maledetta io ti benedico. Ho imparato a nuotare grazie alle tue bacche velenose. Mi hanno nutrito e irrobustito e adesso posso tuffarmi e prendere il largo. Nessun mare sarà così nero e ostile da spaventarmi più.
Dagli abissi è emersa la mia fortuna, è stata la mia sfortuna a tenermi a galla. Nel più gelido degli oceani il mio cuore si è riscaldato. Non ho una casa né una meta. Sono compiutamente straniero.
È in questo mondo, disadorno e inospitale, che brilla la mia stella.  

 

 
   
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